L’artrosi del ginocchio

L’artrosi del ginocchio (detta anche gonartrosi) è un processo molto frequente, prevalentemente degenerativo, caratterizzato dall’usura e dall’invecchiamento, ma si può manifestare anticipatamente se originata da lesioni traumatiche non trattate correttamente in età giovanile.
Contemporaneamente ai fenomeni degenerativi si realizzano dei tentativi di riparazione che riducono il dolore ma, accentuando la formazione di ossificazioni periarticolari, provocano limitazioni del movimento che possono essere molto invalidanti.
L’artrosi del ginocchio può insorgere su articolazioni sane o essere l’inevitabile conseguenza di alterazioni della meccanica articolare, esiti di malformazioni o traumi. È più frequente nelle donne, e nei pazienti in sovrappeso. Esistono poi particolari attività lavorative che dimostrano quanto la ripetizione di alcuni gesti, una postura viziata, il sovraccarico funzionale possano, a lungo andare, produrre danni articolari irreversibili.
I sintomi dell’artrosi del ginocchio (gonartrosi) sono in genere: dolore, gonfiore, deambulazione con zoppia, sensazione di impaccio dell’articolazione e rumori articolari detti scrosci.
La diagnosi è clinica e radiografica. Le radiografie evidenziano le alterazioni del profilo scheletrico ormai molto accentuate, mentre TAC e RMN rilevano le precoci irregolarità delle cartilagini.

L’intervento di protesi al ginocchio
L’intervento di protesi di ginocchio è consigliato nei casi più gravi di artrosi con un quadro radiografico molto compromesso.
In genere si consiglia l’esecuzione dell’intervento di protesi di ginocchio in pazienti oltre i 60 anni, sia in considerazione della durata delle protesi, sia perché con l’età la richiesta di prestazioni fisiche è minore.
La chirurgia protesica dovrebbe essere ritardata il più a lungo possibile nei pazienti che continuano a conservare una funzionalità sufficiente ed hanno un dolore tollerabile.
La riabilitazione dopo intervento di protesi di ginocchio ha come obiettivi il recupero dell’articolarità, della forza muscolare, della coordinazione, e dello schema del cammino, tanto più difficili da ottenere quanto più la situazione dell’arto prima dell’intervento era compromessa.

Riabilitazione per artrosi al ginocchio
A differenza di quanto si può comunemente pensare il paziente affetto da gonartrosi ottiene enormi vantaggi da un prolungato ciclo di riabilitazione effettuato in piscina e palestra. Il successo del trattamento dipende ovviamente dalla gravità della malattia, ma anche molto dalla serietà con cui il paziente lo intraprende.
Si deve subito chiarire con il paziente che la patologia di cui è affetto è cronica e ingravescente per cui non possiamo guarirlo, ma possiamo però insegnargli a conviverci senza dover troppo soffrire e senza dover rinunciare completamente alle attività fisiche.
Un trattamento riabilitativo efficace deve mirare a controllare i sintomi con terapie fisiche (laser, ultrasuoni, ionoforesi) e massaggi; ridurre il peso con adeguati consigli alimentari; potenziare la muscolatura con esercizi perché solo lavorando sugli ammortizzatori muscolari si può preservare l’articolazione (si eseguiranno dapprima esercizi cauti e blandi di tonificazione del quadricipite, dei flessori e del polpaccio sia in catena cinetica chiusa che aperta e successivamente si potrà iniziare l’attività aerobica).

Lesione del legamento crociato posteriore

La lesione del legamento crociato posteriore (LCP) è molto più rara di quella del legamento crociato anteriore (LCA).
La causa è spesso di tipo traumatico (impatto del ginocchio contro il cruscotto dell’auto durante un incidente stradale oppure in molti sport di contatto).
La lesione del legamento crociato posteriore può essere di I°, II° o III° grado, a seconda dell’entità del danno.
La sintomatologia immediata della rottura del legamento crociato posteriore (LCP) è piuttosto subdola. Il paziente avverte una sensazione di instabilità e di dolore posteriore, che persistono anche dopo la fase acuta.
Il trattamento conservativo della lesione del legamento crociato posteriore (LCP) rappresenta la prima soluzione. Inizialmente il percorso riabilitativo è simile a quello delle più comuni distorsioni del ginocchio ed in seguito vanno messe in atto strategie specifiche per la lesione del legamento crociato posteriore.
Il trattamento chirurgico è riservato solo in caso d’ instabilità anche dopo il trattamento conservativo.
Nella riabilitazione post-intervento occorre procedere con cautela nel recupero della flessione attiva, evitare contrazioni isolate dei flessori per i primi tre mesi e aspettare almeno un mese prima di concedere la deambulazione libera.
È invece importante da subito potenziare il quadricipite, prima con elettrostimolazioni poi con esercizi attivi.

Riabilitazione per rottura del legamento crociato posteriore (LCP)
All’inizio il trattamento riabilitativo è simile a quello delle più comuni distorsioni di ginocchio con l’obbiettivo di ridurre il gonfiore e recupere l’articolarità, prestando attenzione ad evitare movimenti di estensione massimale del ginocchio.
Una volta raggiunto l’obiettivo si può passare alla fase del recupero muscolare, in primo luogo dei muscoli che limitano l’iperestensione, quali flessori di ginocchio sia in modalità concentrica che eccentrica e tricipite surale, in particolar modo i gemelli; contestualmente verranno rinforzati il quadricipite, soprattutto con esercizi eccentrici, ai quali verranno abbinati esercizi propriocettivi e coordinativi.
Il lavoro in acqua consente un recupero precoce in termini di articolarità e schema del passo.

Rottura del menisco

La rottura del menisco può verificarsi durante i movimenti combinati di flessione e rotazione tipici delle distorsioni traumatiche. Una lesione può verificarsi però anche in seguito ad un banale movimento o spontaneamente nelle persone più anziane a causa della degenerazione cartilaginea e della perdita di elasticità.
La sintomatologia della lesione meniscale varia da una fitta intensa e localizzata all’interlinea articolare ad un male sordo e poco definito che si riacutizza in certi movimenti.
Lesioni del menisco importanti possono provocare un vero e proprio blocco articolare che il più delle volte tende a risolversi con opportune manovre di basculamento in flesso-estensione.
Soltanto in caso di lesione particolarmente grave verrà proposto un intervento chirurgico al menisco.

Riabilitazione per rottura del menisco (laterale e mediale)
Il trattamento conservativo dopo rottura del menisco sta diventando il trattamento elettivo perché ormai è assodato che il menisco, soprattutto il mediale, partecipa alla stabilità del ginocchio quindi si tenta di preservarlo.
Il protocollo riabilitativo inizialmente mira a ridurre il dolore, il gonfiore e a recuperare l’articolarità, senza forzare la flessione soprattutto oltre i 90°. Nella fase iniziale è molto importante il trattamento all’interno della vasca riabilitativa, perché permette una riduzione del carico, un maggior rilassamento muscolare e un recupero precoce dell’articolarità.
Passato il processo infiammatorio iniziale si può passare alla fase del recupero muscolare del quadricipite, sia in modalità concentrica che eccentrica, dei flessori e del polpaccio, soprattutto in modalità eccentrica e del gluteo ; contestualmente si effettuano esercitazioni di equilibrio e propriocezione e di educazione al movimento.

Lussazione della rotula

La lussazione della rotula, soprattutto quella esterna è abbastanza frequente. Spesso è legata ad una predisposizione congenita di malallineamento per cui spesso si presentano episodi recidivanti; in altri casi è un fenomeno acuto legato all’entità dello stress traumatico.
Solitamente comporta il verificarsi frequente di un trauma distorsivo accompagnato dalla sensazione di “qualcosa fuori posto” e conseguente cedimento del ginocchio.
Generalmente la lussazione si riduce spontaneamente.
La sintomatologia della lussazione rotulea è caratterizzata da dolore, gonfiore, deficit di articolarità e zoppia.
Il trattamento conservativo della lussazione della rotula richiede l’utilizzo di una ginocchiera e il completamento di un ciclo di riabilitazione. La riabilitazione si basa soprattutto su tecniche di rinforzo muscolare specifico dei muscoli della coscia. Un adeguato tono muscolare è infatti fondamentale per stabilizzare la rotula e per evitare recidive.

Riabilitazione per lussazione della rotula
Nella lussazione acuta della rotula il gonfiore compare subito ed è molto forte, specialmente prima delle riduzione della lussazione.
La prima fase della riabilitazione è incentrata proprio sul controllo del dolore e riduzione del gonfiore attraverso l’utilizzo di terapie fisiche antiedemigene e massoterapia drenante e sul recupero della forza dei muscoli dell’anca, bacino e della caviglia. Tolto il tutore si può iniziare la mobilizzazione del ginocchio e velocemente si arriverà a una completa flessione di ginocchio e mobilità rotulea.
Fondamentale è il ruolo dell’idrochinesiterapia, che consente di recuperare precocemente la motilità del ginocchio senza dolore.
Recuperata l’articolarità si può passare alla fase del rinforzo del quadricipite, flessori e polpaccio, insistendo sul rinforzo della parte mediale (se la lussazione è esterna) soprattutto dei muscoli della zampa d’oca, vasto mediale e adduttori, dapprima in catena cinetica aperta e successivamente in chiusa.
Se non vi sono problemi si può passare al recupero dell’equilibrio e propriocezione attraverso percorsi su superfici instabili.

Frattura della rotula

La frattura della rotula è spesso causata da un trauma diretto e nella maggior parte dei casi si tratta di fratture trasverse.
La sintomatologia è caratterizza da un’insorgenza rapida di gonfiore, dolore e limitazioni articolari. In caso di avvenuto intervento chirurgico, nel post-operatorio la mobilizzazione può essere effettuata precocemente durante la fisiokinesiterapia, già a partire dalla seconda settimana; il carico viene concesso dopo circa quattro settimane e normalmente l’intera rieducazione si protrae per alcuni mesi.

Riabilitazione per frattura della rotula
La frattura della rotula è seguita quasi sempre da un grosso versamento e da dolore; quindi la prima fase del trattamento è incentrata sul controllo del gonfiore attraverso terapie fisiche e massoterapia drenante; il recupero della completa articolarità inizierà fin dalle prime fasi, prestando attenzione ai limiti articolari imposti da eventuali mezzi di sintesi, quindi il rom deve essere estremamente ridotto; perciò in questo periodo è molto utile l’idrochinesiterapia per ridurre il carico applicato sull’arto e non sollecitare eccessivamente la parte traumatizzata.
Dopo il primo mese se la frattura evidenzia già i segni di una buona consolidazione è possibile iniziare il lavoro di recupero del trofismo muscolare del quadricipite, flessori, muscoli dell’anca e del bacino, dapprima in modalità isometrica, successivamente isotonica in catena cinetica chiusa e infine aperta evitando gli angoli che potrebbero scatenare dolore.
A frattura consolidata non ci sono grossi limiti nella funzionalità rotulea quindi dopo circa 2 mesi è possibile iniziare il rinforzo isocinetico, effettuare esercitazioni di propriocettiva e di equilibrio.

Distorsione al ginocchio

La distorsione al ginocchio è tra gli infortuni più frequenti nella traumatologia dello sport, soprattutto in alcune discipline quali il calcio, la pallacanestro, lo sci e la pallavolo.
Se in seguito ad un trauma con rotazione del ginocchio questo risulta gonfio e dolente, in attesa di una visita medica, è opportuno applicare il ghiaccio e proteggere l’articolazione dal carico usando le stampelle.
La valutazione del medico è di fondamentale importanza, anche se in fase acuta il dolore e le reazioni in difesa rendono difficili le manovre che normalmente si adottano per svelare una lesione legamentosa del ginocchio.
Per impostare un adeguato percorso riabilitativo, oltre ad un’accurata prima visita, il medico potrebbe prescrivere anche alcuni esami strumentali come la risonanza magnetica (RMN) o la TAC.

Riabilitazione per distorsione al ginocchio
Quando si subisce una distorsione al ginocchio, bisogna immediatamente applicare il protocollo RICE:
• Rest: tenere a “riposo” il ginocchio ed immobilizzarlo
• Ice: applicare del ghiaccio sull’articolazione per non più di 20-30 minuti
• Compression: Comprimere il ginocchio con una fasciatura elastica
• Elevation: Elevare l’articolazione mettendola in scarico
In questo modo si può riuscire tempestivamente a fermare il sanguinamento responsabile del gonfiore e del dolore locale. Dopo una prima fase di riposo e ghiaccio, il percorso riabilitativo della distorsione di ginocchio, non essendoci problemi articolari, prevede un lavoro di potenziamento muscolare del quadricipite, flessori, polpaccio che contribuiranno a stabilizzare maggiormente l’articolazione unito ad un lavoro propriocettivo e recupero della gestualità in campo riducendo il rischio di nuove distorsioni ed evitando recidive (prevenzione).

Sindrome femoro-rotulea

La sindrome femoro-rotulea è costituita da un insieme di alterazioni morfofunzionali che determinano l’insorgenza di dolore anteriore di ginocchio.
La rotula scorre all’interno di una gola ad essa congruente, scavata nella parte distale del femore; le superfici ossee scivolano l’una sull’altra grazie al reciproco rivestimento cartilagineo e sono guidate dalla tensione di alcuni gruppi muscolari, del tendine rotuleo e dei legamenti alari.
Basta un minimo disturbo, un’alterazione di forma o di funzione di una di queste componenti, perché insorga un aumento della pressione su una parte dell’articolazione femoro-rotulea con conseguente insorgenza di dolore o, peggio ancora, di instabilità fino alla vera e propria fuoriuscita della rotula dalla sua sede durante i dolorosissimi episodi di lussazione della rotula.
La diagnosi si avvale del supporto di radiografie, TAC o risonanza magnetica (RMN).
La maggior parte dei casi affetti da sindrome femoro-rotulea trae beneficio da un personalizzato programma riabilitativo, mentre la soluzione chirurgica viene riservata solo ai casi più gravi.
La riabilitazione della sindrome femoro-rotulea inizia in palestra, ma continua nella vita di tutti i giorni. Infatti, è proprio nella vita quotidiana che bisogna mettere in atto i piccoli accorgimenti per il mantenimento di una funzionalità completa.
L’unica vera indicazione al trattamento chirurgico è costituita da un importante instabilità rotulea, caratterizzate dalla lussazione abituale della rotula o dalla sua stabile malposizione.

RIALLINEAMENTO ROTULEO
Esistono vari tipi di soluzioni chirurgiche di riallineamento rotuleo. Quelle più frequentemente usate sono tre.
• Lateral release
Sezione del legamento alare esterno, effettuato artroscopicamente per medializzare la rotula. È un intervento la cui efficacia è dubbia, ma ha il vantaggio di una modestissima aggressività chirurgica con rapida ripresa.
In caso di lateral release puoi iniziare la riabilitazione dopo pochi giorni dall’intervento.
• Riallineamento distale
È l’intervento più utilizzato per le instabilità marcate caratterizzate da episodi recidivanti di lussazione rotulea. Consiste nella trasposizione del tendine rotuleo. Richiede un periodo di parziale immobilizzazione in tutore.
Nel riallineamento distale puoi iniziare precocemente la riabilitazione rimuovendo il tutore per la durata della seduta.
• Riallineamento prossimale
È impiegato negli adolescenti con instabilità rotulea grave per evitare di danneggiare il tessuto osseo immaturo. Consiste nell’avanzamento e plicatura del vasto mediale.
Il riallineamento prossimale richiede da quattro a sei settimane circa di immobilizzazione. Per consentire la tenuta delle suture è consigliabile invece iniziare la riabilitazione solo dopo il periodo di immobilizzazione.

Rottura del tendine rotuleo

La rottura del tendine rotuleo si presenta più spesso in soggetti giovani e sportivi con tendinosi degenerative e in soggetti anziani che affrontano sforzi improvvisi senza avere una adeguata preparazione.
Le rotture dei tendini possono essere parziali o totali.
Al momento dell’infortunio si avverte uno schiocco al ginocchio con la sensazione di qualcosa che “va fuori posto”. Nella maggior parte dei casi al dolore si associano anche gonfiore e difficoltà ad estendere il ginocchio.
L’ecografia è solitamente sufficiente per una conferma diagnostica; la risonanza magnetica (RMN) può dare indicazioni più dettagliate in caso di lesione parziale.
In caso di lesione parziale del tendine rotuleo e quadricipitale il trattamento può essere conservativo, prima con immobilizzazione e deambulazione con stampelle per quattro settimane, poi con progressivi esercizi di rinforzo muscolare. Per ottenere risultati si devono attendere almeno quattro mesi perché il processo di guarigione, cicatrizzazione e riorganizzazione del tessuto tendineo è lungo.
In caso di lesione totale dei tendini rotuleo e quadricipitale il percorso più indicato è quello dell’intervento chirurgico.
La tenorrafia quadricipitale è l’intervento chirurgico che si rende necessario in seguito ad un evento acuto quale la rottura traumatica o degenerativa, parziale o completa, del tendine quadricipitale o del tendine rotuleo.
La tecnica della tenorrafia quadricipitale consiste nella sutura con fili non riassorbibili del tendine lesionato associato a rinforzo con tessuto biologico autologo (il prelievo è solitamente effettuato o dalla porzione distale della bandeletta ileo-tibiale o dal tendine quadricipitale), spesso associato ad un cerchiaggio rotuleo necessario per proteggere le suture.
La chirurgia è complessa e se non è ben eseguita può portare ad avere una rotula alta con conseguente deficit della flessione.
Dal punto di vista della riabilitazione post intervento bisogna considerare che i primi 2 mesi post-operatori sono il periodo critico e che bisogna essere molto cauti e progressivi nel recupero della flessione e nel rinforzo del quadricipite.

Sindrome di osgood-schlatter

L’apofisite tibiale anteriore detta anche sindrome di Osgood-Schlatter è più frequente negli atleti adolescenti maschi (10-13 anni) che spesso sono cresciuti rapidamente.
È attribuibile ad un sovraccarico abnorme sulla cartilagine in accrescimento che causa delle microfratture del nucleo osseo apofisario.
Il quadro clinico legato alla sindrome di Osgood-Schlatter è caratterizzato da dolore localizzato sulla tuberosità anteriore della tibia che viene esacerbato dall’attività fisica e recede con il riposo; localmente è presente una tumefazione dolente alla digitopressione.
La diagnosi è clinica e supportata da esami strumentali quali una radiografia per valutare eventuali calcificazioni o problemi inserzionali.
Il trattamento indicato per la sindrome di Osgood-Schlatter è il riposo. Nei periodi di riacutizzazione del male è necessario che i ragazzi interrompano l’attività fisica. Il quadro tende a risolversi con la fine dell’accrescimento.

Riabilitazione per Sindrome di Osgood-Schlatter
Il trattamento riabilitativo è utile ed è mirato al controllo del dolore, attraverso l’utilizzo di ghiaccio più volte al giorno e di terapie fisiche come ionoforesi, laserterapia, massaggio e stretching: in questa prima fase è utile ridurre il carico sulla gamba, quindi è indicata la rieducazione in piscina.
Successivamente il trattamento prevede di eliminare le tensioni muscolari del quadricipite che possono aver causato microtraumi in quella zona del ginocchio attraverso il massaggio decontratturante e lo stretching specifico accompagnato da un rinforzo muscolare volto ad elasticizzare il muscolo ed esercitazioni per migliorare la coordinazione intermuscolare tra quadricipite stesso e i flessori.

Tendinopatia rotulea

La tendinopatia rotulea è una patologia molto frequente che clinicamente si rileva con dolore al polo inferiore della rotula e tumefazione dolente alla digitopressione.
Il dolore insorge gradualmente, si riduce con il riscaldamento ma progressivamente limita il movimento. Può essere la conseguenza di un evento acuto scatenato da un sovraccarico funzionale o da microtraumi ripetuti nel tempo.
Il trattamento della tendinopatia rotulea, inizialmente conservativo è sempre molto delicato e le possibilità di successo dipendono dalla gravità del quadro patologico e dal tempo di insorgenza della sintomatologia. Il trattamento riabilitativo prevede all’inizio un riposo attivo, riducendo cioè il carico del lavoro e il controllo del dolore attraverso terapie fisiche (laser, onde d’urto, ultrasuoni, tecar e vibra). Molto importante il massaggio decontratturante del quadricipite, riflessogeno del retto femorale e il massaggio trasverso profondo del tendine rotuleo unito ad una buona esecuzione di esercizi di stretching della catena anteriore e posteriore per allentare le tensioni sul tendine stesso. In fase subacuta si può iniziare il rinforzo muscolare ed elastico del quadricipite sia in palestra che in vasca riabilitativa.

Lesioni cartilaginee del ginocchio

L’insorgenza di lesioni cartilaginee del ginocchio è frequente per un meccanismo di usura determinato dalla ripetizione di alcuni movimenti, o in seguito a traumi veri e propri. Un’erosione della cartilagine, più o meno profonda, viene chiamata condropatia e provoca un alterato scorrimento dei capi ossei che si traduce in dolore, gonfiore e difficoltà di movimento.
Per lesioni cartilaginee del ginocchio più lievi è indicato il trattamento conservativo mentre per i casi più severi viene scelto quello chirurgico. Lo scopo terapeutico è di interrompere il circolo vizioso che, mediante l’aumento progressivo dell’attrito, porta alla degenerazione articolare. Il programma riabilitativo viene personalizzato in base alla sede e all’entità della lesione, con l’obiettivo di ridurre il dolore con terapie fisiche (laser, ionoforesi, tens, tecar e vibra) e ripristinare il tono-trofismo di particolari gruppi muscolari che svolgono un importante ruolo protettivo.
Nella riabilitazione post intervento è fondamentale svolgere un adeguato protocollo riabilitativo che permetta di recuperare il massimo nel rispetto dei tempi biologici di guarigione propri del tessuto cartilagineo. La riabilitazione ha come obiettivi la riduzione del dolore e del gonfiore con terapie fisiche (ionoforesi, laser ad alta potenza, tens, tecar e vibra), recupero dell’articolarità, della forza muscolare e della coordinazione neuromotoria alternando palestra e vasca riabilitativa. In palestra vengono alternate terapie fisiche e manuali, esercizi di rinforzo e di propriocezione. In vasca il paziente comincia a recuperare lo schema del passo e i movimenti dell’articolazione operata.

Sindrome della bandelletta ileo-tibiale

La sindrome della bandelletta ileo-tibiale si presenta con un quadro infiammatorio cronico che interessa l’ultimo tratto della fascia lata dove può verificarsi un attrito meccanico che genera uno stato infiammatorio doloroso che si acutizza nei movimenti di flesso-estensione del ginocchio. Alcuni fattori anatomici come il varismo di ginocchio e l’ipoestensibilità della catena muscolare posteriore, possono favorire l’insorgenza della sindrome. I sintomi principali consistono nel dolore laterale di ginocchio a livello dell’inserzione della bandelletta. Il trattamento iniziale della sindrome della bandelletta ileo-tibiale è sempre conservativo e consiste nell’alternarsi, su indicazione del medico specialista, di terapie fisiche e manuali. Il tutto è incentrato sulla risoluzione dell’infiammazione attraverso l’utilizzo di terapie fisiche come ultrasuoni, laser ad alta potenza, ionoforesi e tecar. Massaggio decontratturante e stretching saranno necessari per ridurre la tensione della parte esterna della coscia e della gamba. Superata la fase acuta il trattamento prevede il rinforzo muscolare, sia in palestra che in vasca riabilitativa, dei muscoli della parte mediale del ginocchio per migliorare la ripartizione del carico a livello del quadricipite e il rinforzo dei fasci muscolari posteriori.

Frattura del femore

La frattura del femore si verifica più comunemente in persone giovani e negli anziani.
Nell’anziano la frattura del femore interessa di solito l’estremità superiore dell’osso (testa o collo del femore), limitando la mobilità dell’arto.
La frattura del femore nei giovani e negli sportivi nella maggior parte dei casi è la conseguenza di un evento traumatico (incidente stradale) oppure di carichi prolungati e ripetuti (comune tra gli atleti di fondo).
In rapporto all’eventuale spostamento dei segmenti fratturati, la frattura del femore, può essere considerata composta o scomposta;
La sintomatologia tipica della frattura del femore scomposta è caratterizzata da dolore intenso e limitazione funzionale della coscia.
Quando si tratta invece di una frattura composta, il paziente accusa dolore in sede inguinale ma può anche camminare.
La conferma diagnostica si avvale di una radiografia standard.
Il trattamento della frattura del femore richiede quasi sempre un intervento chirurgico di osteosintesi mirato a ottenere una ripresa funzionale precoce.
La tecnica chirurgica adottata dipende dal tipo di frattura e dall’età del paziente.
Solitamente, in caso di fratture mediali e pazienti di età maggiore di 60 anni viene eseguito l’intervento di sostituzione della porzione prossimale del femore fratturata attraverso l’applicazione di una protesi articolare totale (artroprotesi) o parziale (endoprotesi).
Nel caso invece di fratture laterali e pazienti più giovani si ricorre all’intervento di osteosintesi, cioè a un intervento chirurgico di bloccaggio dei frammenti ossei con mezzi metallici (vite e placca a scorrimento, chiodi).
Se i tessuti molli (pelle e muscoli) circostanti la frattura sono gravemente danneggiati o se non è possibile procedere con l’intervento chirurgico, viene eseguita una fissazione esterna.
Durante il periodo d’immobilizzazione bisogna comunque stimolare la muscolatura, per evitare che si indebolisca ma anche per aiutare la circolazione. In seguito è importantissimo iniziare un trattamento riabilitativo personalizzato.

Riabilitazione dopo la frattura del femore
L’obiettivo primario della riabilitazione è quello di autonomizzare il paziente agendo sul tono-trofismo muscolare, sul recupero del ROM e sulle possibilità di carico. Il carico va sempre deciso di concerto con il chirurgo ortopedico che ha trattato la frattura.
La rieducazione si svolge inizialmente per diminuire il dolore e l’infiammazione, in seguito per recuperare il massimo grado di movimento possibile, prima in palestra e alla rimozione dei punti di sutura anche in piscina. Il recupero graduale della forza muscolare e della coordinazione sono poi fondamentali per il massimo recupero funzionale possibile.

Artrosi dell’anca (Coxartrosi)

L’artrosi dell’anca (detta anche coxartrosi) è una patologia comune che colpisce l’articolazione dell’anca soprattutto nelle donne e nei soggetti di età avanzata.
La causa principale è una degenerazione delle cartilagini articolari dovuta all’usura, all’età o a precedenti interventi chirurgici.
Esordisce con dolore, rigidità e limitazione nei movimenti.
Il trattamento dell’artrosi dell’anca può essere conservativo o chirurgico. Il trattamento conservativo può includere, oltre all‘Idrokinesiterapia, anche la Tecarterapia, la Magnetoterapia, la Laserterapia, la Riabilitazione Funzionale e la Riabilitazione propriocettiva.
Se l’artrosi è in stato molto avanzato si effettua l’intervento di protesi di anca per la quale è indicata da subito la riabilitazione in acqua o idrokinesiterapia individuale.
Essa rappresenta un importante strumento in ambito riabilitativo in quanto sfruttando l’ambiente microgravitario permette all’articolazione di eseguire movimenti con un minore sovraccarico articolare.

Frattura del bacino

La frattura del bacino interessa principalmente i giovani ragazzi di sesso maschile a causa di forti traumi subiti come per esempio incidenti stradali o sportivi.
In età più avanzata invece, sono colpite maggiormente le donne a causa della presenza di osteoporosi.
Caratteristiche dei sintomi
• Dolore (aumenta durante il movimento dell’anca o durante il cammino)
• Ematoma
• Zoppia
• Gonfiore (area interessata del bacino)

La riabilitazione di una frattura del bacino comprende diverse tecniche:
• Tecniche fisioterapiche eseguite dal terapista allo scopo di trattare eventuali disfunzioni di movimenti
• Massoterapia delle zone contratte
• Laserterapia ad Alta Potenza
• Tecarterapia
• Ultrasuoni
• Magnetoterapia
• Correnti Antalgiche