Il trattamento della frattura da stress, di tipo conservativo, si sviluppa nelle tradizionali 5 fasi, mettendo immediatamente l’atleta a riposo dalle 2 alle 6 settimane: scarico con stampelle ed eventualmente apparecchio gessato nei casi più gravi.
Nella frattura da stress le terapie fisiche possono giovarsi dei campi elettromagnetici pulsati.
Anche le onde d’urto possono accelerare i tempi di guarigione. Con la progressiva scomparsa del dolore, il trattamento potrà essere effettuato in piscina (in scarico) per recuperare il tono muscolare, la propriocettività e la resistenza aerobica di base.
Alla ripresa dell’attività, fondamentale è l’analisi e la correzione dei fattori di rischio, come la scelta dell’equipaggiamento sportivo (scarpe).
Si raccomanda sempre l’esecuzione di un adeguato riscaldamento prima di cominciare qualsiasi disciplina sportiva.
Una frattura avviene quando la forza applicata è di un’intensità tale da superare la resistenza dell’osso.
In base alla sede della frattura si potranno distinguere 3 diversi distretti:
• terzo prossimale;
• terzo medio;
• terzo distale.
In caso di frattura di tibia e perone tale distinzione è importante sia dal punto di vista riabilitativo che dal punto di vista prognostico, in quanto nelle fratture del terzo prossimale della tibia può essere coinvolta l’articolazione del ginocchio, mentre in quelle del terzo distale di tibia e/o perone potrebbe essere coinvolta l’articolazione tibio-tarsica.
Queste fratture interessano pazienti che hanno subito un incedente stradale oppure un trauma durante la pratica sportiva.
I sintomi principali di una frattura di tibia e perone sono il dolore, che può essere presente e con localizzazione diversa a seconda della sede della frattura; in realtà può essere irradiato a tutta la gamba; il gonfiore, in genere diffuso; è generalmente presente limitazione funzionale ed ematoma. La frattura meta-diafisaria tibiale in genere non comporta grosse limitazione del range articolare.
La conferma diagnostica si avvale di RX convenzionali nelle proiezioni standard per valutare la formazione del callo osseo; ecografia (in quei casi in cui si sospetta una tendinopatia associata, o per il sospetto di una raccolta ematica organizzata che potrebbe rallentare o ostacolare il progressivo recupero). TAC o RMN solo per indagare problematiche specifiche, cosi come la EMG in quei casi in cui si sospetta una lesione o sofferenza nervosa.
Nel caso di fratture tibiali trattate conservativamente (apparecchio gessato) si può iniziare con il programma riabilitativo. Questi sono i casi, ad esempio, delle fratture del terzo distale se la caviglia è stabile, la frattura non è scomposta o è lievemente scomposta (meno di 2 mm).
La frattura del perone può essere associata a frattura della tibia (frattura biossea) oppure essere isolata.
Nelle fratture peroneali da trauma indiretto sono frequenti le lesioni della tibio-tarsica. Nel caso di fratture composte ed isolate, con buon allineamento dei capi ossei ed assenza di lesioni legamentose può essere effettuato un trattamento conservativo con apparecchio gessato, seguito da almeno 3 mesi di rieducazione.
Il trattamento delle fratture peroneali associate a fratture tibiali segue quanto detto per queste ultime.
Per tornare all’attività sportiva con potenzialità traumatica, sia nel caso di fratture composte che scomposte, occorre che il paziente si doti di tutore su misura in fibra di carbonio.
Nel caso di fratture che necessitano del trattamento chirurgico è necessario un periodo riabilitativo, della durata, genericamente, di 4 mesi.
In caso invece di frattura scomposta del perone, questa si tratta con mezzi di sintesi (placca e viti). Nel caso di associata lesione del legamento deltoideo della caviglia con apertura della pinza malleolare è opportuno un intervento di stabilizzazione articolare, seguito da riabilitazione post-chirurgica e recupero funzionale fino al ritorno allo sport.
Il percorso riabilitativo prevede una prima fase di controllo del dolore e recupero dell’articolarità attiva e passiva dell’anca, del ginocchio e della caviglia, accompagnato da un blando rinforzo muscolare.
Raggiunto l’obiettivo si può iniziare l’attività aerobica e la fase del recupero della forza con esercizi per il gastrocnemio, tibiale anteriore e posteriore, soleo, flessori e estensori e intrinseci del piede, quadricipite, gluteo flessori e muscoli del core; contemporaneamente si possono iniziare esercitazioni di propriocettiva e equilibrio via via più complesse.
Fondamentale è concludere il percorso riabilitativo con l’ultima fase del campo, con esercitazioni ad andature specifiche dello sport praticato e una ripresa graduale e sicura del movimento e del gesto sportivo.
Le lesioni muscolari della gamba sono tra i traumi più comuni in quei soggetti che praticano attività sportiva sia in modo amatoriale che agonistico. Possono insorgere a causa di un colpo ricevuto (lesioni da trauma diretto o contusioni) oppure a causa di un movimento errato (lesioni da trauma indiretto).
Le contusioni sono facili da diagnosticare in quanto il soggetto è in grado di riferire immediatamente il momento esatto in cui ha sentito il dolore, perché derivato da un contrasto con un altro soggetto o con un ostacolo. In questi casi, a seconda di quanto il dolore muscolare limita il movimento, la contusione viene definita di grado:
• Lieve, quando il range di movimento è superiore alla metà del normale;
• Moderato, quando il range di movimento è tra la metà e un terzo;
• Severo, quando il range di movimento è inferiore a un terzo del normale.
In questi casi è opportuno il ricorso alle cure nel minor tempo possibile per ridurre i tempi di guarigione.
Più complessa, invece, è la classificazione e la diagnosi dei traumi indiretti.
Se il dolore insorge accompagnato da un aumento diffuso del tono muscolare, come può capitare al termine di un’attività sportiva, non è riferibile ad un preciso momento, non è ben localizzato e il paziente lo indica a mano aperta, su tutto il muscolo, siamo di fronte ad una contrattura muscolare. Se al contrario il dolore è ben individuabile alla palpazione, insorge progressivamente, permette di continuare un’attività motoria anche se con fatica, allora siamo di fronte ad uno stiramento, caratterizzato da assenza di lesione anatomica macroscopica. Anche in questo caso è opportuno il ricorso alle cure nel minor tempo possibile
Le lesioni muscolari della gamba (di primo, secondo e terzo grado) necessitano invece di tempi di recupero più lunghi. In questi casi è sempre presente una lesione anatomica, di gravità variabile. Tale gravità è direttamente proporzionale alla quantità di tessuto interessato, al versamento ematico e al muscolo infortunato.
È difficile non individuare subito una lesione muscolare, perché l’atleta sente un dolore improvviso, acuto, con un specifico riferimento ad un gesto tecnico; l’atleta addirittura può indicare con precisione il punto della lesione.
L’impotenza funzionale è tanto più precoce quanto grave è la lesione.
La diagnosi è essenzialmente clinica ma viene coadiuvata da un esame ecografico effettuato preferibilmente a 24/48 ore dal trauma; l’ecografia viene ripetuta periodicamente durante la riabilitazione per monitorare la guarigione.
Nel trattamento delle lesioni muscolari della gamba è fondamentale l’anamnesi non solo per inquadrare l’infortunio ma anche per capire se vi sono stati altri episodi oltre al primo (recidive) o se si sono già instaurate recidive.
La diagnosi esatta dopo aver effettuato l’ecografia (contrattura, stiramento, strappo di 1°,2° o 3° grado) orienterà la prognosi e l’iter terapeutico.
Una evenienza abbastanza frequente negli sportivi è lo strappo a carico del bicipite femorale. Durante la fase acuta nei primi momenti dopo l’evento traumatico è opportuno arrestare l’emorragia attraverso fasciature compressive e ghiaccio; successivamente dopo l’indagine ecografica e la diagnosi si può iniziare il trattamento riabilitativo controllando il dolore con terapie fisiche come laser, tens, successivamente ultrasuoni, e recuperare l’articolarità attraverso esercizi di allungamento e distensione.
È utile iniziare fin da subito l’attività aerobica consentita senza dolore e progressivamente aumentare l’intensità e la varietà dello stimolo.
Quando l’allungamento risulta ormai negativo e non c’è dolorabilità alla palpazione si può iniziare il recupero muscolare del distretto interessato. Inizialmente si lavora in maniera concentrica, ma fondamentalmente in eccentrica, per elasticizzare la cicatrice e migliorare l’estensibilità muscolare. Contemporaneamente si andranno ad eliminare eventuali compensi attraverso un lavoro di rinforzo muscolare globale dei muscoli del core, del quadricipite, del gluteo e del polpaccio.
Conclusa questa fase, il programma riabilitativo procede con l’esecuzione di movimenti complessi come i cambi di direzione, gli scatti e le frenate: è fondamentale l’attività di prevenzione delle recidive effettuando un programma domiciliare di esercizi per mantenere la funzionalità e l’estensibilità del muscolo.
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